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Ritorno IRONMAN

Tutto iniziò nel luglio 2001; quando, in seguito ad un infortunio sul lavoro, mi iscrissi ad un corso di nuoto per accelerare la riabilitazione del piede ingessato. Già dopo le prime lezioni, quando uscivo barcollante dall’acqua dopo 45 minuti di apnea, avevo le idee ben chiare circa la mia prossima impresa sportiva. Prima di allora avevo partecipato ad alcuni winter triathlon (corsa + mtb + sci), altri triathlon autunnali con gli skiroll o semplici duathlon; ma il triathlon vero, quello con il nuoto, era rimasto un sogno ingombrante nel cassetto.
In vasca mi impegnavo al massimo, trascurando i normali allenamenti per gli altri sport. Pensavo in pochi mesi di passare tutte le vasche, per poi dedicarmi ai veri allenamenti natatori. Sono arrivato solamente fino alla terza corsia, ci sono rimasto due anni (e non ero neppure il migliore). Deluso, avevo optato per il nuoto libero, almeno così, potevo migliorare la resistenza!
Nella primavera ’03, in un’inaspettata giornata ideale, con una fatica da maratoneta, sono riuscito a percorrere tre chilometri. Era il segnale giusto.
L’idea iniziale, era quella di coniugare un’annata speciale, quella dei 40 anni,( l’annata del… giro di boa, pensando di vivere in buona salute fino agli ’80), con una gara speciale: l’Ironman, la massima espressione del triathlon e forse degli sport di resistenza.
Ho dedicato tutta l’estate per preparare la maratona ciclistica dell’Oztaler (238 km con 5500 m di disl.). Volevo vedere come mi sarei comportato oltre le dieci ore di gara. Era l’evento alla mia portata, più lungo ed impegnativo degli sport che praticavo. Sarebbe stato un buon test in vista degli anta. L’esito fu positivo, anzi, date le condizioni particolarmente avverse, molto positivo (10 ore, 00 minuti e… purtroppo: 35 secondi).
L’Ironman prevede:  una frazione iniziale di 3.8 km a nuoto, 180 km in bicicletta con scia vietata (a cronometro) e, come ciliegina finale, la maratona, un volata di 42 km!
Avevo parlato del mio progetto con Daniele Cesconetto, un ultra-ultramaratoneta che poteva darmi parecchi consigli preziosi. Non gli avevo nascosto che la frazione a nuoto mi incuteva un certo timore. La mia inesperienza in questa disciplina, la carenza tecnica, la distanza  e soprattutto il luogo, mettevano in fila parecchi interrogativi.
Nuotare nel lago di Klaghenfurt (la sede di gara più vicina a S. Polo), in quelle fredde acque alpine che avrebbero congelato parecchie delle mie energie, non era il massimo. Era però una sfida nella sfida!
Mi chiedevo: chissà se riuscirò ad uscire dall’acqua con una discreta quantità di benzina liquida? Pedalerò senza problemi e poi, correndo in qualche modo o molto più probabilmente camminando, affronterò i 42 km finali.
Ad occhio, se non fossero sorti particolari problemi o affaticamenti, stringendo anche i denti, pensavo di potermi classificare entro il tempo massimo (17 ore).
“Coosa?” Mi rispose Daniele, balzando dal divano di casa sua come un canguro. “Sei pazzo?” Continuò con gli incoraggiamenti:  “42 km sono lunghi, camminarli tutti, significa non finire più. Vuol dire farsi scoppiare la testa!  ” . Così, archiviata l’Otztaler Radmarathon, invece di respirare un attimo, dopo i 6000 km pedalati in pochi mesi, dedicai settembre e ottobre per cambiare gesto muscolare in vista di Venice Marathon ’03.
Fu una gara impegnativa; era dal ’95 che, per problemi ai piedi, non mi cimentavo più su questa distanza. A causa di un’andatura iniziale troppo disinvolta, percorsi i 12 km finali con un notevole sforzo mentale; un vero e proprio allenamento alla sofferenza. Ad ogni traguardo parziale che mi ponevo (da un ponte all’altro), mi domandavo se era proprio indispensabile sopportare tutta quella fatica. Di conseguenza, mi chiedevo anche quanto più gravosa sarebbe stata la maratona austriaca. Me lo chiesi anche i giorni seguenti, il dilemma era: iscriversi o non iscriversi all’Ironman?
2 luglio ’04 ore 19:00; accompagnato dalla mia famiglia, mi trovo a Klaghenfurt, presso il tendone del “Pasta party”. La colonnina del termometro è abbastanza bassa. Camminiamo praticamente sull’acqua perché fuori piove intensamente ed il terreno non riesce a scaricare come dovrebbe. Sono però impermeabile alla situazione. Ho eseguito tutto il programma d’allenamento che mi ero prefissato; anzi, sono riuscito ad inserire qualcosa in più, nonostante i primi mesi dell’anno siano stati molto piovosi (soprattutto di domenica).
Tra il migliaio di aspiranti ironman che stanno cenando vicino a me, ne intravedo alcuni di battibili. Ho studiato la classifica finale dello scorso anno; inizialmente mi ero prefissato 14 ore di gara che mi avrebbero però proiettato verso le ultime posizioni in classifica. Dovevo inventare qualcosa che mi permettesse una prestazione più decorosa; così, con l’avvicinarsi dell’evento, avevo ufficializzato le 13 ore. Dopo il  lungo di Barcis (120 in bici + 30 a piedi), avevo iniziato a credere alle 12 ore, era però una sensazione molto ambiziosa  e l’avevo tenuta per me. La maratona era il grosso ago della bilancia. Mezza giornata di gara. Solo una giornata e mezza di lavoro! Una prestazione che mi avrebbe permesso di avvicinarmi moltissimo  alla posizione 999 (saremmo partiti in 2093).
Osservo attentamente i miei avversari mentre si stanno abbuffando. Se le mie previsioni si avvereranno, dovrò scartarne uno su due. Non sarà facile, non sono moltissimi gli esordienti e, meno ancora, di corporatura robusta con la pancia! Pazienza, in caso di difficoltà, varrà sempre la regola di arrivare penultimo; adesso però devo dedicarmi alla mia terrina  di spaghetti, si sta raffreddando.
La mattina seguente mi sveglio con la pancia ancora gonfia. Ieri sera, dopo il primo piatto, avevo divorato anche un dolce intero (con una tazzina di cioccolata fondente sopra). Sono le 6:20. Mi dirigo alla finestra per vedere se il tempo è migliorato e vedo sulla strada alcuni miei futuri avversari mentre stanno correndo.
L’attrazione è irresistibile, dopo alcuni minuti mi ritrovo tra loro, devo  cercare di crear spazio alla futura ed abbondante colazione. Dopo un giretto in centro di 50 minuti, ritrovo l’appetito; quindi, appagato lo stomaco, riparto in bici per sciogliere le gambe. Una piacevole e rilassante circumnavigazione del lago, è proprio quello che ci voleva (guarda caso 42 km). Al ritorno, mezz’ora di stretching, e mi preparo ad affrontare un’impegnativa vigilia di gara.
Accompagnato dai miei famigliari, mi dirigo al Worther See, dove, i  Nuotatori, provano la vasca. E’ bello (ed invidiabile) vederli procedere in fila indiana, disegnando una rotta perfettamente lineare, ogni tre bracciate fanno un respiro, ad ogni respiro uno sguardo alla boa e via…sembrano ali di gabbiano, con un movimento perfettamente armonico, accarezzano l’acqua dirigendosi verso il centro del lago, sparendo tra le basse nuvole di vapore ascensionale. Domani sarà una bella giornata, almeno questa è la mia previsione sul campo.
Il resto della mattinata lo dedico alle solite formalità: ritiro il pacco gara, partecipo al briefing e consegno i  materiali nei vari punti della zona cambio.
Nel pomeriggio si svolge l’Ironkids di Valentina e Luca, finiranno la loro gara  proprio sotto il traguardo dei grandi di domani (rispettivamente 4^ e 7°). Finiti pasta-party e premiazioni varie, andiamo finalmente a casa a cenare nuovamente e riposare un pochino. Dopo non moltissime ore, alle 4:20 di domenica mattina, mi sveglio per la colazione. Anche se avessi avuto dubbi o paure sulla gara che  sto per iniziare, non avrei avuto molto tempo per pensarci.
Alle 5:30, riempito a dovere il serbatoio, mi dirigo a piedi verso la zona cambio. Le stradine che vi confluiscono, sono intasate da atleti, mogli (o mariti), amici e parenti. Sta iniziando lo spettacolo. Siamo tutti molto concentrati; ci è permesso controllare indumenti ed attrezzi. Dimenticare gli occhialini in albergo, il gonfiaggio dei pneumatici, o più semplicemente la crema nel punto giusto, significherebbe buttare all’aria parecchi mesi di preparazione e (almeno per me) molto denaro. Conseguenza: mi ritrovo ricoperto di crema quasi dappertutto. Collo, polsi e caviglie per il nuoto. Sottosella per la bici. Tra gli inguini, ascelle, petto ed addominali per la corsa. Il tubetto è quasi vuoto… ed io  sono quasi bianco!
L’area della partenza sembra una discoteca all’aperto: musica riscaldante a tutto volume, una trentina di majorette e migliaia di sostenitori, sventolando ogni tipo di gadget o bandierina, ci stanno augurando un’imbocca a… Lock Ness!
Molti atleti, invece di ammirare lo spettacolo, si bevono un migliaio di metri a nuoto, così, per sgranchirsi le spalle.
Alle 7:00, dopo la fresca immersione, inizia la lotta di posizione per i migliori e di boxe per quelli del mio livello. Raggiungo la prima boa indenne; mi giro indietro per contare le cuffie rimaste, non sono molte, ma… ben sparpagliate. In lontananza invece, i migliori hanno già fatto l’inversione, nuotano molto compatti, quasi in formazione ciclistica, per sfruttare al meglio la scia. Oltre metà frazione, i miei compagni di viaggio ormai stanchi, hanno cambiato tecnica, procedono quasi tutti pericolosamente a rana. Devo stare molto attento, abbiamo tutti la muta nera, l’acqua non è proprio cristallina e riesco a notare la pianta del piede altrui quando arriva pericolosamente vicino al mio naso! Nonostante ciò, vengo colpito da un poderoso montante destro in piena faccia. Fortunatamente riesco ad aggiustare gli occhialini senza altre conseguenze.
Ogni tanto vengo sgridato da qualche canoista che cerca di raddrizzare la mia traiettoria sinusoidale; mi sembra di interpretare la pecora richiamata dal cane pastore!
Finalmente mi avvio all’imbuto finale, si tratta di un canale che conduce vicino alla tanto sognata: zona cambio. Dribblando tra alghe e ramoscelli, lascio alle mie spalle (o ai miei piedi) l’acqua torbida del lago dal sapore non proprio genuino. Mi viene da pensare che in piscina ad Oderzo non ci si trova poi così male; ci sarà il cloro, ma la visibilità è ottima e le piastrelle azzurre del fondale fanno il resto. Questo esame per ottenere il titolo di Ironman è proprio tosto; oltre ad avere il cervello di ferro, il fisico di ferro, se vuoi passare, devi avere anche lo stomaco di quel metallo (meglio se cromato).
Finalmente esco dall’acqua, quasi 4 km di supplizio durati 96 minuti, tempo leggermente migliore alle previsioni, ma 1798^ posizione. Le sensazioni sono ottime, mi cambio e cerco la bici; non è difficile trovarla, non ce ne sono rimaste molte, fortunatamente sono disposte qua e là per imbrogliare la vista agli spettatori.
Ora devo percorrere tre giri di 60 km: Dorsale + Panoramica del Montello. Sono molto determinato, anche se in questi mesi non ho pedalato moltissimo. Imposto subito un buon ritmo, ma mi accorgo di non essere molto brillante, almeno rispetto ai miei avversari; forse sono più forti del previsto. Se voglio aspirare a scendere sotto i mille, devo superare 800 persone, quasi la metà. Compio qualche timido sorpasso, ma vengo anche superato; inoltre, una barretta superenergetica, unita al gusto di lago che mi sento dentro, mi ha bloccato lo stomaco. Per evitare il peggio, rallento leggermente l’andatura e bevo molto. Nel discesone finale che conduce al traguardo, inizio a sentirmi meglio.
Dopo 1h 59’08’’ inizio la seconda tornata, le gambe si sono scaldate ed inizio a superare gli altri, per il momento in salita. Lo stomaco sembra sistemato, devo continuare con il pranzo, non posso presentarmi alla maratona a digiuno! Così, ogni volta che il serbatoio me lo permette, caccio dentro un po’ di benzina.
Lungo il percorso ci sono molti tifosi, alcuni con la collana di fiori per ricordare ai loro amici, che possono qualificarsi per le Hawaii (solo un paio per categoria). L’organizzazione, per portare pubblico nella salita più impegnativa, ha messo a disposizione dei bus navetta gratuiti e arrivato lì, trovo talmente tanta gente che fatico a passare, sembra di trovarsi all’Alpe d’Uez. Musica, grida d’intrattenimento e trombette, creano una tale confusione, che mi ritrovo a scollinare senza aver ancora inserito il 39!
Dopo 1h 57’24’’ inizio l’ultimo giro. La festa entra nel vivo, ora sorpasso anche in piano. Evidentemente mi trovo troppo indietro in classifica, ed i miei compagni forse meno preparati di me, iniziano a stancarsi. Lungo il tracciato, i numerosi spettatori locali che al primo giro stavano cucinando le salsicce, e al secondo incitavano tutti con grinta e boccale di birra in mano, ora giacciono stremati a pancia in su. Il caldo ed i bicchieroni di integratori spumeggianti, stanno facendo più vittime tra i sostenitori che tra noi!
Nel punto di maggior vento contrario, quando anche con la migliore posizione aerodinamica si fatica a procedere, doppio un biker con enormi pneumatici, evidentemente anche la sicurezza (di non farcela), ha la sua importanza.
Quasi come un metronomo, dopo 1h 57’54’’, termino la seconda prova. Avevo indicato ai miei famigliari questo momento verso le 14:45-14:50 e sono in anticipo di un paio di minuti (dopo quasi 8 ore di gara).
Termino questa frazione con il 1077° tempo parziale, anche non sapendolo, mi rendo conto di essere lontano dal mio obiettivo primario. Dovrò recuperare tutto nella maratona.
Entro nella tenda per cambiarmi e noto una certa tranquillità (o paura) da parte dei miei avversari: c’è chi si siede per calzare meglio le scarpe, altri mettono l’asciugamano attorno alla vita per la privacy. Anch’io sono preoccupato, soprattutto per il caldo, ho però la fortuna di giocare la carta migliore alla fine. Approfitto di un’assistente libera per farmi riempire la sacca degli indumenti usati e, mentre mi concentro per cercare la giusta tensione dei lacci delle scarpe, lei mi pratica un proficuo massaggio sulle spalle.
Finalmente inizio a correre, le gambe girano quasi da sole, il ritmo è molto buono. Al 2° km rilevo un 8’47’’, andatura ideale per scoppiare entro il 10° km! Rallento. Tutto sommato, il primo obiettivo, quello di chiudere entro il tempo massimo, l’ho già in tasca; con 9 ore a disposizione, potrei permettermi il lusso di non correre.
Cerco di trovare la cadenza giusta pensando alle parole di Daniele: Devi tenere quell’ andatura che ti dia la sensazione di non faticare, quel ritmo che ti permetta di correre più a lungo possibile prima di camminare. In effetti, il mio secondo e lusinghiero pallino, è quello di riuscire a correre fino alla fine. Non sarà facile. Sono le 15:00, ci saranno almeno 30° e, prendendo spunto dalle signore sedute all’ombra con ventaglio in mano, credo ci sia anche molto caldo. Io però non sento niente, sono troppo concentrato a sentire il passo, prendere gli spugnaggi, qualche Squeezy o bicchiere d’acqua. Evito di ascoltare la sirena dell’ambulanza che fa la spola, distolgo lo sguardo da chi si impegna al massimo per ricominciare a correre mentre fatica a camminare. Purtroppo c’è anche chi, preso dai crampi su tutto il corpo, viene disteso a terra.
E’ un momento delicato anche per me, mi trovo al 25° km, sono sceso a 5.30-5.35/km. Comincio a pensare di adeguarmi agli altri, ma cerco di resistere, almeno un km, e… poi un altro.
Nonostante stia faticando, sono sempre in corsia di sorpasso. In questo frangente, le sensazioni sono come alla Sei Ore di Montebelluna nel marzo scorso, quando mancavano 90 minuti alla fine; capisco perciò che non è impossibile resistere. Cerco di rilassarmi al massimo ed ogni tanto mi rendo conto che, per isolarmi più efficacemente, compio parecchi passi con gli occhi chiusi.
Al 30° km sento che forse la crisi è passata, manca solo un’oretta alla fine. Sto per coronare il mio sogno mentre mi riporto gradualmente sui ritmi della prima ora. Vedo che il Pace Maker delle 12 ore, poco dietro a me ad inizio maratona, si è allontanato, mentre quello delle 11 ore, si sta lentamente avvicinando.
Incredibile! A spanne, capisco che potrò scendere sotto le 11:30 di gara. Sono calcoli difficili da fare, anche a tavolino: bisogna calcolare la proiezione finale, il tempo perso nei cambi e quello impiegato nelle altre frazioni. Al 37° ne sono sicuro: ce la farò. Non vale neanche la pena spremersi al massimo, per limare qualche secondo.
Al 40°, quando ormai sto festeggiando, mi sorpassa un concorrente, è il primo che si permette di farmi questo dall’inizio del 2° giro in bici, otto ore fa! Lo guardo attentamente, poi lo lascio andare. Sarebbe troppo faticoso seguirlo. Preferisco far scorrere nella mia mente, le immagini più impegnative di questi ultimi dodici mesi di preparazione.
Ho già raccolto per strada importanti e non previsti frutti di primo fior. La vendemmia più importante però, sta maturando ora.
Nelle falcate finali, quando procedo anestetizzato tra gli incitamenti del pubblico, sento la voce di Luca che mi chiama porgendomi la mano. Gli allungo la mia e terminiamo assieme la fatica; io della gara, e lui (loro) dell’attesa.
Ho fermato il cronometro dopo 11h 19’ di cui 3h 39’ di maratona. Sono 683° (228° tempo di frazione). Non avrei mai pensato di poter terminare con questa facilità. Addirittura, negli ultimi chilometri, mi era balenata l’idea di correre ancora per un pezzo, a fronte di una consistente scommessa. Ora perciò, posso concedermi un lungo massaggio ed un’abbondante cena.
Nell’intera giornata, ho ingerito circa 15 litri di bevande varie; e, nel complesso, l’ago della bilancia non si sarà neanche mosso.
Il mattino seguente, esco di buonora in bici prima del rientro a casa. Scendendo le scale, incrocio e saluto due colleghi che, mano nella spalla, si sostengono a vicenda dicendo: “Mancano ancora due scalini, dai…, ce la possiamo fare!”
La giornata è stupenda, ed è piacevole pedalare senza frenesia sul falsopiano del lungolago. Vedo il golfista fermarsi in panificio prima di andare al lavoro con l’auto elettrica; altri invece, praticano il wasser-ski, altri ancora fanno il bagno prima della colazione.
La mia mente fatica a comprendere che, di solito, il lunedì a quest’ora, sono impegnato in ben altre attività. Così, completamente svuotato dai mortali impegni della vita, scorgo nel lago lontano dalla riva, una palla rossa. E’ una boa, forse è la Mia boa; ma… quella che ho aggirato ieri, cioè  quella della mezza età, o… la prossima?
E’ bello sognare; chissà…, forse mantenendo questo rendimento atletico per una ventina d’anni, potrò qualificarmi tra gli Over 60 per Kona: l’isola natale del triathlon.
Sarebbe stupendo volare fin laggiù… per gareggiare contro Valentina e Luca.
 …Haloa Hawaii

                                                                        Flavio


Ringraziamo anche Sandra che, otre a scattarci la foto… ha permesso molte altre cose!