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               ANGUILLE, PESCI GATTI E RANE  ( E ANGURIE )

Negli anni scorsi questo libretto ha riferito di luoghi ed edifici, ma anche di  storie e

aneddoti  che hanno avuto a che vedere con il passato del paese di Colfrancui. Oltre a quelle pubblicate ci sono però molte altre storie che vale la pena ricordare.

Quelle che raccontiamo stavolta hanno come filo conduttore  l’acqua.  E’ già accaduto anche in passato  ma il fatto è  che la nostra è sempre stata una zona di fossi, canali, cave, fiumi e  risorgive in quantità. In passato l’acqua era una componente abituale del paesaggio locale, molto più di oggi.   La colpa, se vogliamo chiamarla così, è nostra.  Non dobbiamo dimenticare che  l’acqua viene utilizzata per le attività umane in modo sempre più massiccio. Spesso per scopi utili e nobili. E’ noto, ad esempio che , a qualche chilometro di distanza da Colfrancui,  ci sono dei pozzi che pescano l’acqua delle falde sotterranee e che quell’acqua viene quindi  incanalata negli acquedotti che riforniscono anche le città costiere.   Ci sono poi altri usi, a volte meno nobili, ma lasciamo stare.  Comunque il logico risultato di questi prelievi ( e delle  bonifiche, razionalizzazioni agrarie e cementificazioni ) è la progressiva scomparsa delle risorgive e della rete di mini-corsi d’acqua che ne erano alimentati.

Con loro è (quasi) scomparsa anche tutta una popolazione di erbe, pesci, alghe, crostacei.

Una cinquantina di anni fa le risorgive erano  fenomeni normali , soprattutto  nella zona  di S. Maria del Palù. Sgorgava un’acqua fresca d’estate e tiepida d’inverno, purissima, che solo a vederla faceva venir sete. Poco distante dalla chiesetta che dà il nome alla zona c’era  perfino chi lasciava il bicchiere appeso a un ramo, in mezzo ai campi.  Quando la zappa o la falce gli facevano venir sete prendeva il bicchiere, si abbassava fino al fontanile, dava una veloce sciacquata e beveva  tranquillo.  Mai un’infezione, un’intossicazione, niente.

E’ significativo che queste acque ospitassero anche i gamberi di fiume, che privilegiano le acque più pulite  e che oggi sono assai rari  Ovviamente i gamberi erano oggetto di caccia e molti di loro finivano in tavola arricchendo la dieta di allora, piuttosto povera.  

Di tutt’altro stampo erano ( e sono ) le  anguille. Questi pesci  infatti non sono schizzinosi come i gamberi e si adattano a vivere anche in acque fangose  o comunque non troppo pulite.  Tuttavia le anguille sono, oggi come 50 anni fa, prede assai ambite. Erano  molti coloro che dedicavano tempo e passione alla loro pesca. Questo si deve alle loro carni,  assai apprezzate, anche se talvolta dal sapore un po’ fangoso . Un altro motivo di predilezione è legato al fatto che sono difficili da catturare.  Tra l’altro, possedendo un corpo viscido e fusiforme,  capita che sfuggano di mano  al pescatore che le afferra non nel giusto modo e che tornino in acqua lasciandolo nella frustrazione.

Molti di noi da piccoli consideravano le anguille  delle bestie speciali. Un po’ perché erano resistenti e  imprevedibili,  un po’ perché assomigliavano parecchio a una biscia,  ma anche perché  se decidevano di andarsene niente le poteva fermare.

Infatti  riuscivano ad abbandonare anche uno stagno isolato o  una cava non collegata a canali o fiumi che giungessero fino al mare . Come facevano a respirare fuori dall’acqua?   C’era incredulità quando qualcuno raccontava che  queste magnifiche bestiacce si spostavano strisciando attraverso i prati,  basta che ci fosse la rugiada. C’era  chi giurava  che addirittura sui prati ci andassero a pascolare .  

A  far cambiare idea ai dubbiosi ci fu la storia di  A. (niente nomi, solo l’iniziale ),  che riportiamo così com’ è stata raccontata. Torniamo quindi con l’immaginazione a una cinquantina di anni fa, quando le siepi erano buie e le strade bianche di sassi .

E’ ancora buio quando A. esce di casa per andare a falciare. E’ quasi estate e c’è l’erba da tagliare. La sera prima ha affinato il taglio della lama battendola col martello mentre la moglie finiva di dare “la foglia”  ai bachi da seta.   Meglio lavorare col fresco e con l’erba umida, così la lama della falce scorre meglio.  Giunto nel prato, coglie con occhio esperto degli ondeggiamenti nell’ erba alta: scorge  un’anguilla,  poi un ‘altra, che strisciano nell’erba alta. Fulmineamente  sfrutta la falce affilatissima e colpisce prima una e poi l’altra. Le due anguille, praticamente fatte a pezzi, si contorcono spasmodicamente, poi muoiono.

Ore dopo, la moglie va sul campo a portargli la  colazione ( caffelatte, uova sode, formaggio ..)  e vede, infilzate su un ramo, delle cose che ci mette un po’ a riconoscere: 2 enormi anguille, con la pelle bruna e lucente . Una delle due  è grossa come un braccio: un vero bestione!  Per l’emozione, la donna lascia cadere a terra la colazione.  La sera seguente in quella casa si mangia anguilla. Vengono invitati anche i parenti  e qualche vicino.  Viene  preparata la bisata coi emoi ( gli emoi sono i frutti, duri e aspri,  del pruno selvatico). Non mancano polenta in quantità e  vino.

 Solo chi conosce questo apprezzatissimo piatto popolare può capire come si sia trattato di una festa vera e propria.

Visto che si parla di 50 anni fa  vale la pena di ricordare un altro esserino  che popolava  i corsi d’acqua anche più piccoli : la rana.  Per i soliti motivi alimentari le rane erano oggetto di una caccia  quasi sistematica.  Tuttavia  erano numerose  e, girando per la campagna, era normale sentirle gracidare. Oggi dalle nostre parti le poche rane superstiti , tra diserbanti e tutto il resto, tirano la vita coi denti.

Un tempo andare a rane era normale per  piccoli e grandi . Certo, serviva l’armamentario giusto: una lampada ad acetilene,  una spuntariola ed,eventualmente,  il burcio. La lampada ad acetilene  serviva perché la caccia alle rane è un’attività prevalentemente notturna, quindi serve uno strumento per fare luce.   Funzionava a carburo, acquistato dal “casolino” e magari pagato con una “sporta” di uova.  La spuntariola era una specie di fiocina a punte multiple, molto sottili. Il burcio era una speciale borsa di rete metallica  con chiusura a molla, dove  si  mettevano le prede  Chi non aveva questa borsa infilava le prede  su un fil di ferro o  un ramo flessibile.   La caccia ( o pesca ) alle rane  poteva prendere  svolte singolari.

In quel periodo i ragazzi di Colfrancui si organizzavano per “bande” che erano sempre in competizione. A volte la competizione diventava scontro fisico, magari con i fucili a sassi, ma questa è un’altra storia.   Una volta una banda ne sfidò un‘altra  a chi prendeva  più rane. Il luogo prescelto per la disfida fu  la campagna verso San Donà di Piave,  in una zona ricca di canali .  Una sera i contendenti partirono da Colfrancui  e, dopo una bella tirata in bicicletta,  raggiunsero il luogo  della gara. Presi gli ultimi accordi,  B. (niente nomi, solo le iniziali)  e il suo compagno si diressero lungo un canale.     Bravura o fortuna che fosse, comunque  catturarono una gran quantità di rane e, all’ora stabilita, si diressero al punto d’incontro, sicuri di vincere.

 Avevano preso una tale quantità di bestiole che il burcio era stipato fino all’orlo.  Tuttavia quando raggiunsero  gli altri la borsa era vuota.  Una maglia metallica aveva ceduto e le rane, un po’ alla volta, erano scivolate fuori. Evitarono i lazzi più crudeli perchè si erano imbattuti in un canaletto pieno di pesci e  loro, intorbidendo l’acqua, erano riusciti a catturarne  un bel po’.  Con le mani.    

A proposito di acque torbide  non si può dimenticare un epico combattente, un pesce fiero, spinoso e  mai morto: il pesce gatto  E’ un pesce che era assai diffuso non solo nei fossi i ma anche  in bacini piccoli e fangosi come le cave.   Al pari della carpa o dell’anguilla  se la  sapeva cavare anche in acque sporche o poco ossigenate. La pesca al pesce gatto era poco redditizia e poco gratificante  Un pesce gatto ha la testa grossa, è pieno di spine e di aculei  che procurano ferite dolorose. La parte

commestibile è poca  e la carne non è di gran qualità. Tuttavia lo si pesca ancor oggi lo stesso, forse  più come prova di abilità che  per  scopi alimentari.  Più o meno come accadeva in passato.  Insomma, un pesce brutto ma resistentissimo.  D’estate, in paese, mentre i genitori  riposavano, molti ragazzi andavano alle cave di Fraine  a nuotare  ma anche a pescare. Una volta alcuni di loro avevano catturato alcuni pesci gatti e li avevano appoggiati a terra, vicino alla riva.

Mezz’ora dopo il pesce più grosso,  apparentemente morto, fece un gran balzo in aria

e ricadde proprio sul bordo dell’acqua. Rimase un attimo immobile, poi con violente codate nel fango si diresse verso il centro della cava e sparì, lasciando i pescatori a bocca aperta .   

L’ultima di queste storie legate all’acqua non  riguarda  né pesci né altra animali ma dei frutti, per la precisione le angurie. D’estate erano il non plus ultra per spegnere la sete.  Ancor oggi non c’è paragone con gli impasti ghiacciati di zuccheri e grassi che teniamo in frigo, ma torniamo alle angurie .

Chi le coltivava erano dei contadini verso Ormelle, gente  col pelo sullo stomaco e l’occhio sveglio.  Le coltivavano nell’ordine, per  il fruttivendolo, per la famiglia e, infine, per i maiali.     Per i ragazzi  ( di allora ) di Colfrancui   erano una tentazione irresistibile. Va ricordato che 50 anni fa al posto di fissare un monitor si facevano

un ‘infinità di cose interessanti,  a volte anche poco regolari. Fra queste vi era la predazione della frutta altrui. Il tutto sempre, rigorosamente, in gruppo.   Una sera di un’estate  questi “bravi ragazzi “  decisero che era giunto il momento di andare a Ormelle a razziare le angurie.  Partirono in bici lungo le strade inghiaiate fino al campo giusto, vi penetrarono in silenzio come  pellerossa  e si diedero a cercare le angurie mature .  La genialata fu di portare  i grossi frutti fino al corso del fiume Lia che costeggiava il campo e lasciarveli cadere. Poi, pacifici, si fecero tranquillamente bloccare dal contadino armato di cane e  di doppietta che piombò loro addosso. Eh sì, perchè i proprietari della piantagione sapevano bene che le loro angurie dovevano essere  difese   24 ore su 24  sennò addio raccolto. I ragazzi, con una faccia di bronzo da televendita  accamparono impellenti bisogni corporali che li avevano spinti  sulla sua proprietà, si scusarono e chiesero di potersene andare.  Ebbe un bel cercare il contadino: nessun frutto, nessuna traccia. I ragazzi  tornarono in paese volando sulle bici e si piazzarono a una strettoia del fiume, in attesa.. che la corrente facesse il suo lavoro . Già, perché  il Lia passa   prima per Ormelle e poi per Colfrancui.  Trascorse  un bel po’ di tempo ma ,  a tarda notte, galleggiando sull’acqua argentata, le angurie, ovviamente freschissime , arrivarono .  Racconta V. che era una notte di luna piena e che faceva molto caldo.

P.S. In realtà il racconto continua. Sempre da fonti anonime  risulterebbe che  nel raid fossero  implicate anche delle ragazze.  Queste non avevano fisicamente partecipato alla spedizione ma sapevano tutto. Avevano assistito alla partenza  e aspettarono  il ritorno degli eroici incursori  per poi fare loro compagnia in attesa delle angurie, in riva al fiume.  E  come si può passare il tempo di sera ( notte) , d’estate,  col caldo, sotto la luna?     

 

Elves