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Flavio e l’Otonga Ultramarathon
12  agosto 2002 

       

Prima mattinata di venerdì 9 agosto 2002: è il giorno del compleanno di Sandra, mia moglie. Siamo in vacanza in Trentino ed avevamo pensato di festeggiare con… un’escursione sul gruppo del Brenta. Purtroppo invece devo mostrarle il rilevamento della mia temperatura corporea (37.9°c). Tra quattro giorni dovrei affrontare l’Otonga Ultramarathon, una lunga staffetta podistico-alpinistico-podistica in compagnia di Daniele Cesconetto. Abbiamo ideato questa corsa in onore dell’Anno Internazionale delle Montagne e, secondo i nostri realistici calcoli, le 24 ore massime che ci siamo prefissati per completare il giro non permettono carenze di performance. Di conseguenza, in questo momento, non posso dire di non essere preoccupato, posso solo sperare che la pioggia che cade incessantemente da parecchie ore, continui almeno per una settimana.

Fortunatamente già la domenica mi sento meglio, non al massimo ma in grado di correre. Splende il sole, verso sera esco per fare un’oretta test mettendo in pratica il mio motto: ” In queste situazioni bisogna sempre provare ad allenarsi: o si migliora, oppure si peggiora”.

Così il lunedì sera mi presento alla partenza di Daniele, anche se  non mi sento ancora al top, ma forse manca solo la carica mentale. Il cielo è stellato, l’aria è frizzante, proprio una bella serata per uscire, infatti, ci sono molte persone a salutare e fotografare l’amico alle prese con gli esami. Lui non riesce a stare fermo, è molto carico, sicuro di sé, si vede che ha studiato; ha il berretto con la visiera rivolta in avanti, pronto a girarla nel momento più opportuno, quando e se arriveranno le difficoltà. Standogli vicino avverto il suo fluido positivo che contagia anche me.

Pochi istanti dopo la benedizione del nostro parroco suonano le campane, sono le 22.00, è il nostro (suo) segnale di partenza: inizia l’avventura.

Tra gli applausi dei presenti che occupano anche parte della sede stradale, comincia la sua corsa verso il buio, verso l’apparente ignoto. Lo saluto con: ”Ciao, a domani”. In realtà, dopo aver riposato a casa tre ore, devo alzarmi per andare in auto verso il mio luogo di partenza: Ponte Compol. Percorro lo stesso itinerario di Daniele, per concentrarmi meglio nella sfida. Si vedono molte stelle cadenti, quasi ad indicarci la via. E’ molto piacevole ma allo stesso tempo noioso esprimere ad ogni apparizione sempre il medesimo e ambizioso desiderio: rispettare i tempi.

Lasciato alle mie spalle il lago di Barcis, mi trovo in prossimità della frazione di Cellino; tra poco dovrei incontrare l’ultramaratoneta, rallento ma non vedo nessuno. Proseguo, supero il bivio per Claut ma ancora niente. Il mio cellulare è acceso, non ho ricevuto alcun messaggio, comincio a preoccuparmi. Accelero, in prossimità dell’illuminazione stradale di Cimolais, noto, mimetizzato dallo stesso colore, il lampeggiante del pulmino dell’assistenza Euromed. Davanti al mezzo, scortato da podisti e ciclisti, Daniele sta volando verso Ponte Compol. Lo affianco e gli grido amichevolmente: “Vai troppo veloce “, “ Guadagno qualcosa per stasera “ mi risponde lui. Riparto, mancano solo 5 km al cambio, devo affrettarmi. Più avanti mi fermo un attimo, telefono agli amici che hanno pernottato al Bivacco Greselin perché dal parcheggio non c’è ricezione, ma… non risponde nessuno.  “ Staranno forse dormendo? “ mi domando. Lascio un breve messaggio e riparto velocemente perché sento alle mie spalle il fiato del compagno.

Entro in valle, il volante scivola tra le mani sudate, parcheggio, è ancora buio, mi cambio faticando a trovare i lacci delle scarpe. Cerco allora la lampada frontale, la pila però è completamente scarica, mio padre allora mi presta fortunatamente la sua. Corro incontro all’amico azzerando il cronometro; riesco a percorrere solamente venti metri perché lui è già sul posto e, stringendomi la mano, mi lancia in dietrofront verso la seconda frazione, quella alpinistica.

Sono trascorse 7 h e 25’, ha percorso gli 89 km in salita alla media di 5’ al km! Siamo in largo anticipo, mentre corro guardo in alto, cercando di inviare qualche debole fascio luminoso, agli amici che si trovano al bivacco. Probabilmente loro in questo momento saranno ancora all’oscuro della situazione, anche perché come ripeto, è ancora buio.

Pietro, con Eugenio e Massimo, partiti un’oretta prima di me per aiutarmi in quota, dovrebbero comunque in ogni caso avvisare gli altri assistenti prima del mio arrivo. Ho iniziato la prova con ottime sensazioni, la temperatura è ideale, attorno a me tutto dorme, si sente solo il debole rumore dell’acqua proveniente dal vicino torrente, inoltre i profumi del bosco accrescono in me un certo languorino

Divoro avidamente il ripido sentiero che conduce al rosso ricovero. Strada facendo incontro Eugenio e Massimo, cedo loro la frontale, è ormai giorno, in cambio mi offrono da bere e mi assicurano che Pietro è avanti, ma di quanto? Venti minuti dopo, arrivato al Bivacco, ottengo la risposta: l’amico è poco oltre, mi dovrebbe vedere dagli specchietti. All’interno della costruzione ci sono alcuni amici che cercano di guadagnare tempo (a loro favore), ospitandomi all’interno del dormitorio. “ Datemi la borraccia! “ è la mia risposta, con sottinteso: ” E’ un ordine! “. Inizio, anzi, continuo sempre più a divertirmi, mi sembra che si stiano invertendo i ruoli nel vedere gli amici-assistenti in ritardo, affrettarsi per aiutarmi. Non è colpa loro, è stato Daniele con la sua andatura ciclistica a creare tutti questi contrattempi.

Proseguo verso la Cima dei Preti, raggiungo anche Pietro e continuo. Più avanti sbaglio traccia, lui mi raggiunge ed io mi riallontano. Supero con facilità il canalino portandomi sul ghiaione superiore. Qui, il vento mi obbliga a stringere la regolazione del berretto, raffreddandomi e spingendomi velocemente sulla cima. Sono le 7.30, suono vigorosamente la campana lì situata; qualcuno forse, dalla sottostante Val Montina, penserà alla sveglia! Autografo il libro di vetta e guardo a nord, verso i tremila dolomitici ricoperti dalle recenti nevicate. Si possono individuare con facilità, assomigliano a tanti pandoro dispersi all’orizzonte. Ridiscendo, sbaglio direzione per la seconda volta ma me ne accorgo quasi subito. Più sotto, verso la fine del ghiaione, incontro Pietro che cerca invano di convincermi ad assumere posizioni spettacolari per la sua fotocamera. Nel canalino trovo la corda già tesa, scendo così più tranquillo scaldandomi contemporaneamente le gelide mani su di essa.

Ritornato al Greselin, apro la porta e sorprendo nel suo interno Massimo, seduto al buio con la testa tra le mani mentre… legge il registro delle presenze. Prontamente mi allunga un’altra borraccia incitandomi nella prosecuzione.

Il prossimo obiettivo della giornata è la Cima dei Frati, solo quattrocento metri di dislivello. All’attacco della via trovo gli zaini di Gianni e Antonello, poco dopo li raggiungo mentre sono impegnati a prepararmi la fune come d’accordo. Apprezzo molto il loro lavoro, anche se purtroppo la paretina da attrezzare si trova più avanti. Proseguo con Gianni, mentre Antonello recupera la corda; poco dopo ci ricongiungiamo tutti e tre nel luogo dove venti giorni fa (durante una ricognizione) mi ero accorto di esser fuori traccia! Decido allora di scendere, fino ad un punto certo ma, più mi abbasso, maggiore diventa il disorientamento. Mi arresto, mi giro e guardo in alto, cercando di individuare una probabile via di salita. Ne individuo una e parto d’impulso senza pensare se riuscirò a ridiscendere. In breve raggiungo la cresta sommitale, vedo però che l’ometto di vetta è situato a trenta metri in direzione ovest da me, più alto di 50 cm rispetto ai miei piedi. Cerco di avvicinarmi al caratteristico mucchio di sassi ma, i pinnacoli che formano questo tagliente spartiacque sono molto instabili. Mi accontento così; dopotutto, il tempo totale impiegato su questo monte, mi avrebbe consentito di salirci due volte se solo ci fosse stata una buona segnalazione.  Tutto bene quindi e ora penso a scendere; non sembra semplicissimo, proseguo con cautela, mentre più in basso Antonello mi prepara una corda provvidenziale su un salto di roccia molto friabile. Ringrazio e proseguo.

Per arrivare al Duranno, ultima cima della giornata, bisogna traversare in orizzontale un ghiaione molto compatto. Appena lo raggiungo, noto con soddisfazione le scalfitture lasciate dagli scarponi di Gabriele & C. su questo agglomerato lavato e compattato dalle precedenti piogge, altrimenti, con le scarpe da corsa e senza tracce, sarebbe diventato un tratto molto delicato. Solo a pensare che mi trovo su un’alta via, dove dovrebbero transitare persone con zaini enormi, mi vengono i brividi.

Arrivato a forcella Duranno guardo a destra verso l’omonimo monte, mi mancano solo cinquecento metri di salita. Salgo sulle roccette fino ad arrivare all’attacco della via normale. Qui, sono subito notato da Gabriele, che di riflesso impartisce disposizioni ad alta voce a Doris ed Adelmo. Sembrano già ben disposti, i loro discorsi mi incoraggiano ulteriormente appiattendomi le difficoltà. Fortunatamente non ci sono altri alpinisti sulla via oltre a Roberto e Nicola che, anche se non mi stanno aiutando in questo momento, hanno fatto da portatori.

Supero le difficoltà senza neanche pensarci; arrivato in vetta, mentre aspetto Doris per la foto, metto la firma sul libretto delle salite, guardo i monti già saliti oggi ed il cronometro: meno di cinque ore fino a questo punto! Invece di rilassarmi mi lancio nella discesa, saluto a turno tutta la squadra e dopo una quarantina di minuti mi ritrovo all’attacco. Forse l’euforia o l’eccessiva velocità mi portano fuori itinerario altre due volte: la prima, ho percorso un discreto tratto in discesa (con conseguente risalita) dell’Anello Anulare, la seconda invece, una breve divagazione dopo Forcella Duranno.

Transitando sul cortile del Rifugio Maniago, noto solo alcuni escursionisti incuriositi nel vedermi correre. Avrei dovuto incontrare Giorgio con il suo cavallo d’acciaio ma, con l’anticipo che abbiamo accumulato rispetto alla tabella di marcia, in questo momento si troverà ancora in autostrada!

La discesa dopo il rifugio nel sottobosco è il tratto più piacevole dell’intero percorso: l’ombra, la scorrevolezza del sentiero e l’elasticità degli aghi di pino che ricoprono il terreno, mi preservano le articolazioni migliorando la velocità; poi, dopo aver guadato il torrente senza badare troppo a non bagnarmi, mi resta l’ultima, noiosa fatica: l’asfalto in discesa.

Al suonare delle campane di mezzogiorno mi presento al cambio di Erto e… sorpresa: non c’è nessuno ad aspettarmi. Scoprirò più tardi che gli amici del Duranno incaricati di avvisare Daniele un’ora prima del mio arrivo, non si erano potuti mettere in contatto con lui per problemi telefonici; io avevo anticipato di parecchio l’arrivo e Daniele si trovava in quel momento al ristorante!

Senza perdere tempo, blocco un’auto in transito per farmi concedere una telefonata, riuscendo così ad avvisare il mio compagno di avventura. Mentre aspetto l'arrivo dell'amico continuo la corsa sull’asfalto al suo posto: è per me un defaticamento forzato che però potrebbe contribuire al buon esito della sfida. Invece, in prossimità delle gallerie del Vajont, mi raggiunge Giorgio comunicandomi che Daniele è già partito dal luogo prestabilito (con solo mezza pastasciutta nello stomaco). Evidentemente, a lui coprire solo 160 km quando c’è la possibilità di farne di più, avrebbe lasciato dell’amaro in bocca!

Lo aspetto, insieme percorriamo ancora alcuni chilometri verso Longarone scambiandoci qualche battuta e aggiornamento sui fatti accaduti. Noto che il suo passo non è rotondo, si deve ancora scaldare, come le Ferrari.

Abbassandoci di quota aumenta inevitabilmente la temperatura; ho ben presente queste situazioni quando, pedalando in bicicletta, la gamba non gira bene e mancano ancora 80 km per arrivare a casa. Si, in bici però, ma a piedi? A piedi non ho mai provato, sicuramente è tutto elevato alla potenza.

Ora mi trovo seduto comodamente in auto , per solidarietà il climatizzatore è spento; seguo l’amico fino a Ponte nelle Alpi e poi lo saluto dandogli appuntamento più avanti.

Vado a casa, mi lavo, faccio uno spuntino, un riposino, alcune commissioni, qualche telefonata ed infine inforco la bici per andare incontro a Daniele.

Arrivato a Conegliano lo trovo ancora in movimento attorniato da molti amici: è da ieri che corre. Io, nel frattempo ,ho dormito due volte! Lui, purtroppo e grazie al gestore dell’Albergo Duranno di Cimolais, neanche un minuto.

Negli ultimi interminabili chilometri mancanti contiamo anche i campanili: -4, -3, -2 e c’è ancora luce sufficiente per vedere da lontano quello di San Polo; le campane sono ancora ferme, anche la lancetta delle ore ha una posizione tranquillizzante, si trova addirittura tra le otto e le nove!

All’arrivo, alle 20.50, ad attenderci sulla piazza ci sono molte persone, nonostante ci troviamo nella settimana di ferragosto e siamo in anticipo. Dopo tutto lo sforzo prodotto, questo riconoscimento ci fa molto piacere; evidentemente con la nostra iniziativa, abbiamo anche allietato due serate a chi in questo momento non è in vacanza.

La vicinanza di tanti amici, la corona di alloro, lo spumante, le foto e le congratulazioni anche da parte dell’amministrazione comunale, hanno contribuito a cancellare parte della fatica. Non si è trattato di un’importante gara ufficiale, è stata comunque un’esperienza ugualmente intensa e positiva.

Buona parte del merito va ai nostri collaboratori, spero si siano divertiti ed approfitto per ringraziarli. Anche se in alcuni punti della mia frazione c’è stato qualche intoppo o errore di percorso sono molto contento lo stesso, avevo messo in bilancio la possibilità di qualche imprevisto, altrimenti il tempo impiegato sarebbe stato minore. Il percorso è poco frequentato, poco segnalato e addirittura in qualche tratto quasi inesistente. Cimentarsi come nel mio caso su quei monti  ma con assistenza professionale, segnalazioni ogni venti metri, ecc. non credo sia sinonimo di corsa in montagna, almeno per una gara così ufficiosa dove ci si confronta solo con se stessi senza penalizzare o essere penalizzati da altri. E’ bello trovare un po’ di wilderness, allontanarsi dai sentieri (o stradine) molto frequentati per cercarsi il percorso. Questo tipo di scelta può portare qualche disagio, ritardo, fatica supplementare ma, senza eccedere nelle difficoltà e sulla sopravvalutazione della propria esperienza, può dare ben altre remunerazioni.

Con il nome Otonga abbiamo cercato di pubblicizzare l’omonimo progetto nato per la protezione di un pezzetto di foresta in Ecuador, dove nello stesso periodo erano impegnati in una spedizione, alcuni amici della nostra sottosezione CAI.

Infine, una riflessione : i miei capelli si stanno ingrigendo (solo loro, probabilmente a causa delle lunghe permanenze in alta quota e comunque sono solo un dettaglio). Nella staffetta che sto affrontando ora, quella della vita, il mio braccio è teso in avanti con il testimone stretto in mano; guardando laggiù in fondo, all’orizzonte, mi sembra di intravedere un giovane, forse pronto per il cambio, … sei tu?
Non lo posso ancora sapere, ti vedo appena, sei troppo lontano. Io comunque, nell’incertezza, mentre ti aspetto… continuo a correre.